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Recensione: Glock 17 La Pazienza dell' Odio - Round Robin Edizioni

Recensione: Glock 17 La Pazienza dell' Odio - Round Robin Edizioni
Autore: Recensione di Susanna Schivardi
Data: 30/08/2017

Siamo al terzo appuntamento, con Glock 17 La Pazienza dell’Odio di Emanuele Bissattini, che con Kento, autore di Resistenza Rap sempre per Round Robin edizioni, si è esibito in una doppia presentazione lunedì 28 agosto a Castel Sant’Angelo, Letture lungo il fiume, data fissa dell’estate romana.

Giornalista, storyteller, sceneggiatore, scrittore l’uno, rapper, autore e poeta l’altro. I due si destreggiano con le parole come trapezisti nell’aria, alleggerendo il peso della loro scrittura con battute e domande. Si sono preparati una serie di foglietti con domande stronze e domande intelligenti e a turno se le pongono, rispondendo ciascuno come si sente.

Per Emanuele Bissattini il tour di presentazioni è già al pieno almeno a Roma, attende altre date e ammette che finora con il libro non ha guadagnato un euro. Non è un brutto segno, ci rincuora averlo letto visto che il romanzo è una bomba vera. Un colpo al cuore. Un calcio in pieno stomaco. Un noir perfettamente costruito, equilibrato, intenso e denso di fatti e personaggi come sottolinea Kento, il rapper calabrese che sembra conoscerlo molto bene.

Ogni pagina è un evento, una sorpresa, la violenza corrode le righe e le diluisce in un lento incedere verso l’inferno. Cruento e crudo come nella migliore tradizione di Ellroy o Bunker, ma qui i riferimenti fanno solo da cornice perché Emanuele ha proprietà di penna, ha uno stile tutto suo originale e unico, come specchio di una realtà, quella della strada, che non lascia scampo. Non ha conosciuto direttamente la strada, la sua origine borghese lo ha preservato, ma il suo istinto lo ha portato nelle periferie per incontrare il male, fino a farsi puntare una pistola in testa per vedere che si, è possibile cha accada.

Ha iniziato a scrivere a nove anni poi ha saputo che Tolkien aveva iniziato a otto e ha quasi smesso. Lo racconta sorridendo, ma come al solito i suoi riferimenti sono sempre dei grandi. Kento lo paragona a un certo Gadda di quel brutto pasticciaccio, una Roma scomposta, compromessa, delusa, marcia, attraversata da fiumi di coca e malavita, dove un colpo secco ti arriva nel buio e ti uccide. Nell’appartenenza ritorna il senso, quello della vita che Emanuele sente di dover raccontare attraverso gli occhi della strada, lui che non è mai appartenuto a nulla e nessuno riesce a raccontare le cose in maniera non allineata.

Pratica le arti marziali e questo lo deve aver aiutato parecchio a immedesimarsi nello scontro, la lotta dove devi essere quello che sei, dove sei il colpo che scegli e nel momento in cui spezzi il gesto, è quella l’unica cornice di libertà che puoi permetterti. Animale simulatore e dissimulatore, vestito con jeans larghi e maglietta nera attillata che nasconde molto male i tatuaggi impressi sulle braccia muscolose, Emanuele quando parla inietta pathos, la pronuncia leggermente rotacizzata vorticizza i pensieri obbligandoti a seguirlo nei gangli della sua mente in una confusione che solo alla fine risolve il suo mistero, regalando luce. 

Rivelazioni sottintese, citazioni nascoste, le incontri tra un delitto e l’altro, tra uno schizzo di sangue e un cervello saltato in aria. I ritratti di questa Roma balorda sono precisi  e determinati come lame affilate, si sente l’aria rarefatta, carenza di ossigeno, morte imminente. È come se i personaggi avessero giocato a prendere l’anima e buttarla giù da un dirupo, rimanendo in brandelli di corpo e pelle senza contenuto. “Da una parte le guardie, dall’altra i criminali, in mezzo i disperati che si sbattono per la roba, vivono da formiche e rimbalzano come palle da flipper sui muri di travertino di una Roma misera che per gli altri, per i normali, non esiste più da almeno un secolo”.

E la strada come palcoscenico “la strada è un posto di merda. Non ci sono regole, non ci sono valori. Tutto ha un prezzo, soprattutto i sogni. Se la strada è la tua prospettiva , i sogni non ce l’hai. Non puoi mai fidarti di nessuno”.

Emanuele è convincente e persuade con i dialoghi serrati frutto di ore passate ad ascoltare storie. Le sue grandi mani da lottatore si muovono come circonvallazioni mentre parla del sangue che butta quando scrive, della sofferenza che prova mentre descrive la violenza ma le sue mani non sono ancora abbastanza sporche, non sono ancora abbastanza rovinate, il sangue si sente ma non si vede. Manca poco, ce la farà. Come ce la fanno i suoi ritratti, il Gatto e il suo Sigmund che non ha nulla a che vedere con Freud ed è descritto come un “camaleonte che trova quiete dietro il banco di fiori di fronte a Regina Coeli”. La gentilezza dei loro cuori spezzati e il desiderio di vendetta e giustizia periferica che nessun regolamento potrebbe imbavagliare. Una scarnificazione dell’ego per dirompere in un mondo brutale e asfissiante, una catarsi lenta e ghiacciata come un ferro carico sul collo. Leggetelo tutto d’un fiato, non lascerà un attimo di respiro.  

Presentazione del libro - foto di Susanna Schivardi




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